Adriano Maini

adrianomaini

Un sindaco d'altri tempi

Ho scritto più volte altrove di Emilio Croesi, nato nel 1912, sindaco comunista di Perinaldo (IM) dal 1946 al 1986, anno della sua morte. In effetti, farlo mi consente più che in altri casi di incrociare aspetti dell’evoluzione del costume sociale e vicende di altre persone che ho conosciuto o che conosco tuttora. Ho sottolineato in altro blog che solo pochi anni fa avevo saputo della produzione da parte di Croesi di un ottimo Rossese, pregiato vino locale, apprezzato da Veronelli e da Soldati. Una coltivazione ed una vinificazione riprese adesso, a quanto pare con buoni esiti, da una nuova imprenditrice. Non so se la bottiglia, regalo di un nipote di Emilio, che da più di due anni devo andare a prendere qui a Bordighera (IM) da S. O., che, anch’egli beneficato di tale presente, mi ha fatto da tramite, sia un derivato delle ultime esperienze o risalga ai lontani tempi dello zio del donatore: difficile che il contenuto sia ancora bevibile, ma, anche per un astemio come me, sarebbe un bel trofeo da vetrinetta. Io avevo sempre pensato che Emilio fosse solo un floricoltore, come tanti uomini del suo paese, con un po’ di attenzione agli ulivi ed all’ottimo olio che se ricava. Per non aggiungere dei saporiti conigli che allevava, nutriti a sane erbe di macchia mediterranea di alta collina. Sapevo che in gioventù Croesi si era speso in corse in bicicletta, specie in Costa Azzurra. Alberto G. mi ha voluto rimarcare che al funerale di Emilio una persona, parlando in dialetto, ne riportava la disavventura occorsagli ad una vecchia Milano-Sanremo, quando sul Capo Berta, quello tra Diano Marina ed Imperia, si ruppe la catena della sua bicicletta mentre era in una fuga che avrebbe anche potuto essere vittoriosa. Ma di tante cose che si possono dire di Croesi viene più facile, discorrendo con amici, riferire la passione che metteva nel seguire, più anziano, altri sport da spettatore, come il pallone elastico, il balun, che a Perinaldo a livello amatoriale, sempre come riporta Alberto G., che talvolta ne fu protagonista in loco, trovava ancora alla svolta degli anni 1970, come in altri borghi della provincia di Imperia, tanti e tanti entusiasti estimatori. Ci si soffermava, dunque, l’altro giorno su di un episodio, concernente Giuseppe M. e testimoniato dal medesimo. Accaduto, presumo, agli ’80 appena iniziati. Giuseppe M. diede vita già agli inizi della salita finale, non visibile dal paese, in una corsa o della categoria veterani o della categoria gentlemen con arrivo a Perinaldo, a violenti strappi del gruppo. Non riuscì a vincere, ma venne premiato con atto autonomo da Croesi per la sua combattività. Incuriosito, ho chiesto a Giuseppe M. come avesse fatto il sindaco ad essere informato delle sue gesta. La semplice risposta è stata che aveva seguito l’epilogo di quel cimento facendosi portare in motocicletta, dimostrando, dunque, anche ormai anziano, una grande passione per quella disciplina. Ho raccontato questo avvenimento a Franco I., non accorgendomi che era presente anche Giuseppe M., il quale non mi ha smentito in nessun particolare. Franco I., per associazione di idee, si è ricordato con emozione di quando un gruppo di compagni, compreso lui, di Ventimiglia (IM) era uso a salire a Perinaldo per festeggiare in trattoria il Primo Maggio: si ritrovavano con uomini del posto con a capotavola Croesi, che dominava, allora, la scena. Me la immagino quella brigata, io che ho conosciuto Emilio dopo, anche se non rammento Feste del Primo Maggio passate là da me in Perinaldo. Nessuno, neanche Pierino S., che dimostra verso Croesi una vera venerazione ed il cui matrimonio era stato celebrato per l’appunto a suo tempo da Emilio, mi smentisce quando in conversari vari mi azzardo a sostenere, cercando di assumere un tono scherzoso, che quel sindaco è stato più tosto del celebre Peppone dei romanzi e dei film tratti dagli scritti di Guareschi. E che non aveva mai trovato sulla sua strada un vero Don Camillo. Di aneddoti in tal senso ce ne sarebbero tanti, anche troppi, da riportare. Ci si è soffermato in certi suoi scritti anche Arturo Viale, mercé le informazioni ricevute da un suo amico anarchico, abitante da pensionato a Perinaldo, un anarchico che il sindaco non riuscì mai a “catechizzare”. Ho dimenticato dettagli singolari appresi da poco da Franco B. circa l’entusiasmo che Croesi dava e riceveva dai giovani, che sempre negli anni ’70 e ’80 organizzavano sagre ed altre iniziative della Pro Loco. Passando ad aspetti più seri, un lontano cugino di Emilio pochi mesi fa inopitamente mi raccontava di altri personaggi famosi che incontrava a cena in casa del suo parente. Le memorie in merito per me più intriganti sono forse quelle degli abitanti di Perinaldo emigrati in Francia, soprattutto in Costa Azzurra, che in lontani mesi di agosto affollavano le Feste dell’Unità sotto quei platani, che per fortuna ci sono ancora. Donne e uomini che tornavano per votare alle elezioni, in particolare alle comunali – così mi si diceva – per sostenere in modo massiccio Emilio Croesi.

Arrivederci, Roma!

La neve sui Colli Albani a marzo 1971 per la gioia di tanti ragazzi romani che non l’avevano mai vista. Non ricordo, né altri conoscenti, da me interpellati, rammentano, se quella volta era scesa anche più giù, sulla Città Eterna.

E’ indescrivibile sottolineare cosa si provi in visita alla Fosse Ardeatine, se non anche un giovanile confuso senso di trovarsi al cospetto delle ombre di Giusti della Storia! A Roma si fanno tanti incontri. Vorrei ricordare un bel volto nobile e serio ergersi sotto la pioggia tra la folla. Vittorio Gassman in Piazza del Popolo alla manifestazione antifascista dei 300.000 a novembre, sempre del 1971.

Quasi una gag. Il collega, che senza chiedermi nulla mentre ne ero un po’ consapevole, interpella in quella notte di inizio primavera un passante circa Fontana di Trevi, salvo accorgersi (su questo, invece, io ero out!) un attimo dopo che era un noto attore. Indicazioni vaghe come risposta. Che era dietro l’angolo, praticamente!

Camminate, tante camminate. Non solo alle manifestazioni. D’altronde, per fare i turisti per caso non si può agire diversamente. Altri colleghi, in queste peregrinazioni molto post-lucane, a dirmi che conoscevo bene storia e monumenti. Di lì, forse, personali intensi ripasso e studio di tante cronache passate e di tante guide recenti. Ma, più si sa, più ci si accorge di sapere poco!

A Trastevere case che negli interni ricordano quelle quasi turrite dei borghi liguri. E locali pubblici dove gli avventori discutendo bonariamente, ma in modo colorito, forse forniscono tanti spunti ad artisti che vanno per la maggiore.

Se a Roma piove, le cose vengono fatte per bene. Memorie di fortunate fughe in taxi sotto l’infuriare degli elementi.

Miano!

Mio padre, mio zio, mio nonno di sicuro erano nati a Miano di Medesano in provincia di Parma, borgo più vicino a Fornovo Taro che al capoluogo. E chissà quanti altri avoli, prozii e lontani cugini! Da qualche tempo con mio cugino abbiamo ripreso a scambiarci foto e ricordi di famiglia, ma riusciamo a ricomporre vicende soprattutto per la parentela legata alla nonna, radicata anch’essa a quei luoghi.

Altre volte ho evocato su questi temi certe atmosfere e certi aspetti mutuati dal film “Novecento” di Bernardo Bertolucci. In proposito, mi sono dimenticato di citare a mio cugino la scena in cui un bambino va a “pescare” le rane, una scena incantevole nel racconto di mio padre, analogo protagonista poco prima – data la sua età – della sua emigrazione.

Già, l’emigrazione. Emigrazione dovuta – di successione in successione – allo spezzettamento dei poderi; emigrazione che ha disperso di più i Maini; emigrazione che ha visto tutti rendersi onore nella vita; emigrazione che ha comportato per la mia famiglia un maggiore coinvolgimento dei cugini della nonna, come é stato per l’approdo definitivo – dopo una brevissima stagione francese a Le Cannet – a Ventimiglia (IM) nel 1932.

Solo nel dopoguerra le nostre terre di origine conobbero il benessere diffuso.

C’era anche lo zio Bruno, disperso nella seconda guerra mondale a dicembre 1942 nella Sacca del Don. Morto in Russia come il cugino Sergio, della famiglia che aiutò i Maini a stabilirsi definitivamente in Riviera. E lo zio Bruno era figlio del primo matrimonio di nostro nonno, che – lui, appena scampato agli orrori del conflitto e destinato ad una lunga vita! – al termine, appunto, della Grande Guerra si era visto portare via dalla spagnola la moglie ed una figlioletta: quando si dice il destino!

Queste note mi portano con la mente lontano, a curiosi aneddoti, pertinenti la vita in Miano dei nostri genitori e rinfrescati di recente con mio cugino...

Polvere di stelle

Il 13 settembre 2010 si svolsero a Bordighera (IM) i funerali del partigiano Renzo Biancheri (Rensu u Longu), che aveva fatto parte durante la Resistenza dei “Partigiani del Mare” o “Gruppo Sbarchi Vallecrosia”. Giuseppe “Mac” Fiorucci aveva nell’occasione mandato ad una mailing-list locale una testimonianza della persona defunta, raccolta per una pubblicazione che all’epoca non conoscevo ancora, benché fossi stato in precedenza messo al corrente della sua preparazione.

Come feci allora con l’approvazione dell’estensore della raccolta, riporto qui di seguito (ma adesso in forma parziale) il testo richiamato. La mia storia nella Resistenza è legata a filo doppio con Renzo Rossi. Nell’agosto del 1944 mi aggregai al gruppo partigiano di Girò [Pietro Gerolamo Marcenaro, “Gireu”], che operava nella zona di Negi [Frazione di Perinaldo (IM)], dove godevamo anche dell’appoggio di Umberto Sequi a Vallebona e di Giuseppe Bisso a Seborga; tutti e due membri del CLN di Bordighera. Negi era il punto di contatto tra le varie formazioni partigiane che operavano nella zona: Cekoff [Mario Alborno di Bordighera (IM)], Gino Napolitano ecc.

Facevo da staffetta tra Negi e Vallebona.

In settembre insieme a Renzo Rossi partecipai all’incontro con Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, in quel momento comandante della V^ Brigata , da dicembre 1944 comandante della II^ Divisione Garibaldi “Felice Cascione”]. Ci accompagnò Confino, maresciallo dei Carabinieri che aveva aderito alla Resistenza. Vittò investì formalmente Renzo Rossi del compito di organizzare, per la nostra zona, il SIM (Servizio Informazioni Militare) e i SAP (Squadre d’Assalto Partigiane), e io fui nominato suo agente e collaboratore.

In novembre mi aggregai al battaglione di Gino Napolitano a Vignai, ma dopo alcune operazioni di collegamento tra Vallebona e il comando di Vignai, il comando mi richiamò ad operare nel Gruppo Sbarchi.

Nell’estate, i servizi segreti americani avevano inviato sulla costa una rete di informatori, capeggiati da Gino Punzi. Dovendosi recare in Francia, per passare le linee, Gino si avvalse della collaborazione di un passeur, che però era passato dalla parte dei tedeschi e durante il viaggio lo uccise. Il comandante tedesco si infuriò perché avrebbe voluto catturare vivo il Gino. Sul suo cadavere furono rinvenuti dei documenti, dai quali i tedeschi vennero a conoscenza che sarebbero stati inviati altri agenti e telegrafisti alleati.

I tedeschi predisposero una trappola e quando arrivò il telegrafista “Eros” lo catturarono ferendolo. Si avvalsero di lui per trasmettere falsi messaggi al comando alleato di Nizza.

Con questi falsi messaggi fu richiesto l’invio di un’altra missione: la missione “Leo”…

Oggi posso, dunque, sottolineare al meglio che si tratta del racconto di Renzo Biancheri (Rensu u Longu), raccolto da Giuseppe “Mac” Fiorucci per il suo “Gruppo Sbarchi Vallecrosia” < ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, Comune di Vallecrosia (IM), Provincia di Imperia, Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM) >.

Alla mia richiesta di autorizzazione a pubblicare sul mio blog l’emozionante scritto di cui sopra, Fiorucci rispose mandandomi un altro “articolo”.

Questo, di Renato Dorgia, “Plancia”, sempre per “Gruppo Sbarchi Vallecrosia”: La base alleata in Francia era a Saint Jean Cap Ferrat, nella baia di Villafranca, nella Villa Le Petit Rocher [ma la Villa risulta in effetti nel comune di Beaulieu-sur-Mer]. Da Vallecrosia si partiva, naturalmente di notte, e si raggiungeva il porto di Montecarlo, facilmente individuabile perché l’unico illuminato. All’ingresso del porto, una vedetta intimava l’alt e accompagnava il natante all’approdo sotto stretta sorveglianza. Qui l’equipaggio forniva alle sentinelle alleate del porto di Monaco solo un numero di telefono o di codice e il nome dell’ufficiale dell’Intelligence Service. In meno di un’ora erano presi in consegna dai servizi segreti alleati.

Anche io fui condotto a Montecarlo, con Renzo Rossi, Girò e Renzo Biancheri, già allora sordo come una campana. Per me era la prima volta, mentre per gli altri si trattava dell’ennesima traversata.

Fummo accolti dal capitano Lamb, che ci condusse a Le Petit Rocher. Ci diede qualche istruzione, tra le quali ricordo che, alla mia richiesta di una qualche sorta di documento, ci disse che a eventuali controlli dovevamo solo rispondere che eravamo maltesi e di riferire il suo nome, Cap. Lamb con il numero di riconoscimento.

Mettendo mano al portafoglio, Lamb cominciò a distribuire una banconota da 500 franchi. La sua intenzione era di consegnarne una per ognuno di noi, ma Renzo Rossi, intascata la prima banconota ringraziò dicendo che 500 franchi bastavano per tutti.

Il capitano, sorpreso, ci fissò negli occhi uno per uno e domandò:

“Ma voi siete proprio Italiani?”.

Scoppiò poi a ridere, ma, per un attimo, vidi nel suo sguardo il sospetto che fossimo sabotatori. Renzo Biancheri chiese di poter usare il telefono, compose il numero e ottenuta la comunicazione tra lo stupore generale iniziò a cantare Polvere di Stelle [Stardust].

Renzo era sordo e come tutti i duri d’orecchio cantava bene.

Sussurrava la melodia d’amore di “Polvere di Stelle”, alle orecchie di una interlocutrice, evidentemente conosciuta in qualche precedente missione e con la quale di certo non scambiava lunghe conversazioni:

Sometimes I wonder why I spend The lonely night dreaming of a song

In seguito, forse memore del fatto che nei nostri pregressi incontri gli parlavo dell’opportunità di pubblicare sul Web i suoi materiali di ricerca, Fiorucci mi inviò, a mia piena disposizione, documenti e scritti, sia pubblicati (ma, ripeto, allora, per mia disattenzione, non lo sapevo ancora) su “Gruppo Sbarchi Vallecrosia”, sia, per come mi risulta, inediti.

Per il momento aggiungo solo che in quel settembre 2010 una nipote di Renzo Biancheri mi ringraziò via email per il mio pensiero, che la citazione della morte di [il capitano] Gino Punzi ha suscitato in seguito molta interessante corrispondenza, che, purtroppo, il 19 marzo 2012 Fiorucci ci ha lasciati.

Vedrò in seguito di tornare e di approfondire alcuni di questi temi.

Un piccolo pensiero dedicato alla Slovenia dei nonni materni.

Sarebbe stato meglio che io avessi avuto per tempo la curiosità di saperne di più sui posti dove erano nati i nonni materni (media valle dell'Isonzo, poco a nord di Gorizia).

Affiorano alla mia memoria i racconti di mia nonna materna che, ancora bambina, insieme a quello che rimaneva in quel momento della sua famiglia venne costretta dalle truppe italiane a rimanere a ridosso di quel fronte, al di sotto della Bainsizza, teatro, come tutta la linea, di reiterati, inumani assalti alla baionetta. Ho capito già da piccolo che la guerra é una cosa atroce mercé il vivo racconto di mia nonna, ma mi rimane il rimpianto di non avere saputo, da adulto, approfondire con lei il discorso, cui non ha poi sopperito l'ampia lettura di resoconti bellici, che in genere poco rendono della dimensione umana degli eventi. Fu di rilievo anche in Slovenia la guerra partigiana, che mi fa pensare alla bisnonna (suocera della nonna), staffetta partigiana di Tito, ed ai nipoti della nonna, che la lotta di liberazione l'avevano abbracciata in Friuli.

Dovrei sottolineare la persecuzione degli sloveni, condotta dal regime fascista, particolarmente spietata agli inizi della seconda guerra mondiale (campi di concentramento dove vennero reclusi tra ogni genere di stenti bambini, donne e anziani, mentre gli uomini erano costretti – come un mio prozio, che poi lavorò, se non erro, nel cementificio di Salona d'Isonzo –, a combattere per Mussolini ), persecuzione di cui in famiglia (forse per la lontananza dagli eventi, essendo all'epoca ormai da anni i nonni residenti in riviera) non si é mai parlato. Si é fatto in tempo a parlare, invece, di certe nefandezze del regime di Tito, in particolare con la voce di lontani cugini ormai stabiliti nei dintorni della Gorizia italiana.

Forse in funzione di questi ricordi e di altri analoghi, derivanti (come per tante altre persone, io credo) da altri rami familiari, mi sento – spero in modo degno – cittadino del mondo e testimone dei tempi che corrono.

Tornando da Aubagne.

E fu così che non ricordo quasi niente di quel viaggio di ritorno del 1983 da Aubagne. E l'alberghetto davanti al quale mi lasciarono, ormai nel cuore della notte, fu un po' come un tocco finale. A me sembra ancora adesso, per farla breve, tratto di peso da un qualche romanzo dove compare Maigret, con la differenza che io mi trovavo a Marsiglia e non a Parigi. Solita tappezzeria un po' ... trasandata, solito rubinetto che sgocciolava, solita persiana che cigolava al vento, solite voci di donne e uomini: queste cose, nonostante il ... mal di testa me le ricordo, così come mi ricordo di avere dormito ben poco.

Fu veramente comodo il viaggio di ritorno in treno, un bel treno ancora di quelli di una volta, posizionato in una vera poltrona (non ci si crederà!) tutta per me: l'unica dello scompartimento, credo, ma non me la ero certo lasciata sfuggire!

E così capita che, stando al computer posto vicino ad una vetrinetta dove é custodita una così bella bambolina, mi siano affiorati alla memoria ricordi un po' sfumati che mi hanno indotto a scrivere queste righe. Anzi, mi sembra quasi che anche la graziosa contadinella al termine di questo post intenda mandare i suoi garbati saluti a tutti!