Adriano Maini

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Caterina Segurana

Mi sono imbattuto in Caterina Segurana, eroina della resistenza di Nizza all'assedio del 1543, commissionato da Francesco I° Re di Francia, ma attuato dai Turchi guidati dal Barbarossa, anni fa nell'Enciclopedia Britannica, ancor prima di trovarne tracce nel capoluogo delle Alpi Marittime francesi.

Della combattiva popolana si sostiene anche la genesi leggendaria.

Invero, nei documenti di encomio rilasciati dal Savoia subito dopo la liberazione di Nizza non si fa menzione di Caterina. Il primo a parlarne é il sindaco Pastorelli agli inizi del secolo successivo.

Sono diverse le versioni, quasi tutte pittoresche, di come la Segurana, talora in nizzardo chiamata anche Maufaccia, il che non é proprio un complimento, desse ai difensori il segnale della riscossa. Qualsiasi fosse l'oggetto contundente (lascio indeterminato il battoir in cui mi sono imbattutto) con cui iniziò la pugna, si tramanda che stese con armi raccolte sul campo di battaglia diversi nemici già penetrati nella mura della Cittadella. E che dileggiasse i turchi ormai in fuga, mostrando loro “una parte carnosa della sua anatomia”.

In diversi, a partire dal Seicento, con una particolare insistenza in epoca napoleonica e dopo il 1860, con Nizza francese, insomma, parlarono di Caterina. Anche in versi. E la città oggi la ricorda in diversi luoghi. Wikipedia aggiunge che ella é “l'espressione di un forte sentimento patriottico ed identitario”.

Un lungo telegramma di Bertrand Russel a Bordighera (IM)

Una mattina di qualche anno fa M., finalmente trovato di persona e da me interpellato in proposito del professore Raffaello Monti [Raffaello Monti (Milano, 23 dicembre 1893; Bordighera, 15 maggio 1975). “Monti fu musicista di professione, specializzato nel violoncello, e compositore. Ebbe modo di studiare musica e perfezionare la sua arte in più Istituti e Città (Torino, Tolosa, Nizza) raggiungendo notevoli traguardi e incarichi di prestigio, tra cui quello di primo violoncellista al Teatro Regio di Torino e solista all’EIAR. La sua carriera precoce, iniziata ad appena 16 anni, continuò fino all’anno della sua morte nel 1975 con la composizione e orchestrazione di molte opere”. Valentina Donati], mi raccontava di un'importante assemblea pubblica sull'obiezione di coscienza, avvenuta a Bordighera nei primi anni '60 con l'intervento di Aldo Capitini, grande figura di cattolico pacifista. E con un lungo telegramma di Bertrand Russel, dispiaciuto di non poter intervenire. L'iniziativa ebbe luogo nella Chiesa Anglicana della Città delle Palme, allora aperta al culto. Con l'autorizzazione del Vescovo di Malta, da cui dipendeva quel luogo ancora sacro. Il meeting era stato organizzato dall'Unione Culturale Democratica, di cui era presidente il professore Monti, artefice, anche in virtù dei suoi profondi legami con Capitini, della sopradetta manifestazione. Di quest'ultimo, di cui ho già parlato, cercavo e cerco ulteriori notizie, perché per un caso straordinario e significativo a seguito di quel mio post ero entrato in contatto telefonico con la figlia, che mi aveva esortato a parlare ancora di suo padre, soprattutto in riferimento alla sua frequentazione con Capitini: il che io traducevo soprattutto nel sollecitare vecchi amici della famiglia Monti, in Bordighera e dintorni, a riunire memorie e documenti dell'attività svolta in questa zona, da ultimo anche nel pensare a qualcuno veramente esperto di penna per stendere note importanti in proposito.

In sostanza, qualcosa che avevo scritto già su di un mio vecchio blog aveva avuto sviluppi, anche imprevisti, incrociando, inoltre, altre trame.

Jean-Claude Izzo

Azzardo un certo collegamento di interesse tra la zona della provincia di Imperia di confine con la Francia e Marsiglia, dove sono ambientati i romanzi di Izzo, innanzitutto in certe affinità paesaggistiche e geografiche.

Mi appare interessante anche l'uomo Izzo (morto prematuramente dieci anni fa) che, impegnato sul fronte sociale ed antirazzista, trasfigurava i suoi valori in cupe storie noir (anche di plot un po' esagerato a mio avviso), non certo ben rese nella versione televisiva (o, forse, sono dei film) con Alain Delon.

Di sicuro nelle sue opere questa Marsiglia e dintorni, non molto lontani da questa riviera, assumono contorni quasi magici: si sentono l'odore del mare, i profumi dei fiori e delle erbe mediterranei, i sapori di cibi cosmopoliti.

E si palpita per personaggi che sembrano usciti da una canzone di Francesco De Gregori, nel contempo in cui certi “cattivi” sembrano (almeno a me) un po' esagerati, anche se fanno rinviare con il pensiero alle tante trame criminali realmente esistenti di qua e di là della frontiera.

Un modesto excursus

Sussiste un'immediata profondità del nostro mare, qui, nell'estremo ponente di Liguria, la stessa che, come mi spiegò una volta un amico di famiglia, nel mentre si faceva tornare alla memoria i viaggi sotto costa (negli anni '30 del secolo scorso) del piroscafo Rex, dovrebbe generare il fenomeno delle improvvise ed impreviste ondate che talora sconquassano litorale e passeggiata.

Subito mi venne in mente che, nel pur breve tratto che va da Capo Ampelio di Bordighera (IM) a Cap Martin già in Costa Azzurra, tale caratteristica trova significative eccezioni, rappresentate da inconsueti, di solito rocciosi, rialzi del fondale, al massimo a pelo d'acqua, teatri a volte per i conoscitori degli arcani di cospicue pescate di luassi (i branzini, in madre lingua) e di altre pregiate specie, e muti testimoni di relitti misteriosi ed antichi, spesso piratescamente trafugati: echi di storie, anche un po' leggendarie, che nel mio ricordo si uniscono ad altre storie, talora approdate a dignità letterarie, storie sentite in pregresse situazioni, di cui alcuni affabulatori e testimoni non sono più.

Senonché, alcuni di questi ultimi personaggi, insieme ad episodi dell'ultimo conflitto mondiale, che rimandano comunque al mare, quali la galleria dell'Arziglia (sempre in Bordighera) ad est trasformata in rifugio antiaereo e la morte della madre dell'autore per via di mitragliamento, da parte di un velivolo alleato, di innocenti civili (ignominia della guerra) sulla spiaggia di Latte a ponente di Ventimiglia, tornano insieme ad altri in un'opera dell'amico Carlo, che definire di personali memorie del periodo bellico e post-bellico sarebbe riduttivo: per chi é nato e cresciuto da queste parti si tratta di un incisivo contributo alla verifica quantomeno delle proprie radici civili e sociali.

Carlo è la persona che mi venne a cercare quel 12 dicembre 1969 per farmi unire a quel vigile moto di dignitosa e combattiva protesta che si stava levando nel Paese per difendere la democrazia repubblicana dai pericoli insiti nel vile attentato terrostico di quel giorno alla Banca dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano.

Cartoline dalla Norvegia

Qualche anno fa, incontrato (o, meglio, ripresentato) mentre era con un comune amico di Ventimiglia (IM) alla ormai scomparsa, causa spostamento a monte della linea ferrata, stazione di Oneglia, Aldo mi disse che ci eravamo conosciuti da giovani a Cipressa (IM): il sottoscritto, solito smemorato, non l'aveva in quel momento ancora messo a fuoco. Forse il primo impatto lo avevamo avuto a San Lorenzo al Mare, paese a levante, ai piedi della collina della Cipressa. Suonava, infatti, da giovane in un'orchestrina. Probabile che ci vedessimo e frequentassimo in quel periodo in entrambe le località. In occasione, di sicuro, di Feste de l'Unità. Ho visto spesso in seguito Aldo, uomo di grande simpatia, anche perché lavorava dalle mie parti. Mi aveva pure procurato cartine della Norvegia. Per dire della sua gentilezza. Ed almeno in un'occasione mi diede un passaggio in auto per attraversare Imperia: quando si dice il caso! Io, invece, una volta lo portai sotto una pioggia torrenziale da Bordighera al capoluogo, dove mi stavo recando per motivi familiari. Aldo avrebbe preferito tornarsene in treno. La mia guida in autostrada sotto quelle intemperie lo fece vieppù rimpiangere (credo!) di avere accettato il mio invito. Io, però, lo accompagnai quasi sin sotto casa. Gli accennai due o tre volte all'episodio, ma fu così gentile da darmi sempre risposte evasive e sfumate. Poi ci perdemmo di vista, perché cambiò lavoro o andò anche lui in pensione. Non avevamo mai pensato di scambiarci i numeri di telefono. Tanto ci si vedeva quasi tutti i giorni, mentre arrancava a piedi da Vallecrosia, dove aveva sede professionale, a Bordighera, o viceversa. Il mattino lo trascorreva in uffici ad Imperia. Mi mancano alquanto i suoi comici indovinelli, di cui avrà di sicuro ancora un'inesauribile scorta.

Petardi da nebbia

Da bambino, se ricordo bene, la nebbia l'ho vista solo a Milano o in viaggio in treno per Milano. Come in occasione della prima partita di calcio di Serie A che ho visto, nel 1959 (o ai primi del 1960), Inter-Sampdoria: c'è una fotografia che mi ritrae davanti al vecchio stadio di San Siro, ma in quel momento della giornata il fenomeno era alquanto mitigato.

Erano gli anni in cui mio padre, ferroviere, raccontava come si usassero nel suo lavoro i petardi da nebbia. Dislocati a debita distanza sui binari, con i loro scoppi, molto fragorosi, servivano a segnalare ad un treno che eventualmente fosse sopraggiunto che, non visibile o non ben visibile, causa, appunto, nebbia, ce n'era già uno fermo, per un segnale o, peggio, per avaria, sullo stesso binario o, credo, per sicurezza,anche su quello parallelo. Ricordo come erano fatti quegli ordigni, che talvolta mio padre, quando rientrava dal servizio senza avere lasciato in deposito al suo reparto in stazione a Ventimiglia (IM) il borsone regolamentare, ci faceva ammirare: scatolette di alluminio decisamente più grosse di quelle oggi correnti per contenere prodotti alimentari, per noi bambini affascinanti, al pari dei racconti di papà, relativi ai casi in cui aveva dovuto usarli o di cui avesse avuto notizia da parte di colleghi. Alla notizia di un tragico incidente ferroviario di qualche anno fa, dovuto alla nebbia, mi sono chiesto se in ferrovia avevano smesso di usare i petardi.

Ho visto da giovanotto e da adulto altre volte ed anche in altre località la nebbia. Forse anche qui in Riviera, a meno che non si trattasse di fenomeni dal nome diverso, comunque, raro per queste nostre zone. Altri spunti per altri racconti...

Un sindaco di tanto tempo fa

Ho scritto più volte altrove di Emilio Croesi, nato nel 1912, sindaco comunista di Perinaldo (IM) dal 1946 al 1986, anno della sua morte. In effetti, farlo mi consente più che in altri casi di incrociare aspetti dell'evoluzione del costume sociale e vicende di altre persone che ho conosciuto o che conosco tuttora. Ho sottolineato in altro blog che solo pochi anni fa avevo saputo della produzione da parte di Croesi di un ottimo Rossese, pregiato vino locale, apprezzato da Veronelli e da Soldati. Una coltivazione ed una vinificazione riprese adesso, a quanto pare con buoni esiti, da una nuova imprenditrice. Non so se la bottiglia, regalo di un nipote di Emilio, che da più di due anni devo andare a prendere qui a Bordighera (IM) da S. O., che, anch'egli beneficato di tale presente, mi ha fatto da tramite, sia un derivato delle ultime esperienze o risalga ai lontani tempi dello zio del donatore: difficile che il contenuto sia ancora bevibile, ma, anche per un astemio come me, sarebbe un bel trofeo da vetrinetta. Io avevo sempre pensato che Emilio fosse solo un floricoltore, come tanti uomini del suo paese, con un po' di attenzione agli ulivi ed all'ottimo olio che se ricava. Per non aggiungere dei saporiti conigli che allevava, nutriti a sane erbe di macchia mediterranea di alta collina. Sapevo che in gioventù Croesi si era speso in corse in bicicletta, specie in Costa Azzurra. Alberto G. mi ha voluto rimarcare che al funerale di Emilio una persona, parlando in dialetto, ne riportava la disavventura occorsagli ad una vecchia Milano-Sanremo, quando sul Capo Berta, quello tra Diano Marina ed Imperia, si ruppe la catena della sua bicicletta mentre era in una fuga che avrebbe anche potuto essere vittoriosa. Ma di tante cose che si possono dire di Croesi viene più facile, discorrendo con amici, riferire la passione che metteva nel seguire, più anziano, altri sport da spettatore, come il pallone elastico, il balun, che a Perinaldo a livello amatoriale, sempre come riporta Alberto G., che talvolta ne fu protagonista in loco, trovava ancora alla svolta degli anni 1970, come in altri borghi della provincia di Imperia, tanti e tanti entusiasti estimatori. Ci si soffermava, dunque, l'altro giorno su di un episodio, concernente Giuseppe M. e testimoniato dal medesimo. Accaduto, presumo, agli '80 appena iniziati. Giuseppe M. diede vita già agli inizi della salita finale, non visibile dal paese, in una corsa o della categoria veterani o della categoria gentlemen con arrivo a Perinaldo, a violenti strappi del gruppo. Non riuscì a vincere, ma venne premiato con atto autonomo da Croesi per la sua combattività. Incuriosito, ho chiesto a Giuseppe M. come avesse fatto il sindaco ad essere informato delle sue gesta. La semplice risposta è stata che aveva seguito l'epilogo di quel cimento facendosi portare in motocicletta, dimostrando, dunque, anche ormai anziano, una grande passione per quella disciplina. Ho raccontato questo avvenimento a Franco I., non accorgendomi che era presente anche Giuseppe M., il quale non mi ha smentito in nessun particolare. Franco I., per associazione di idee, si è ricordato con emozione di quando un gruppo di compagni, compreso lui, di Ventimiglia (IM) era uso a salire a Perinaldo per festeggiare in trattoria il Primo Maggio: si ritrovavano con uomini del posto con a capotavola Croesi, che dominava, allora, la scena. Me la immagino quella brigata, io che ho conosciuto Emilio dopo, anche se non rammento Feste del Primo Maggio passate là da me in Perinaldo. Nessuno, neanche Pierino S., che dimostra verso Croesi una vera venerazione ed il cui matrimonio era stato celebrato per l'appunto a suo tempo da Emilio, mi smentisce quando in conversari vari mi azzardo a sostenere, cercando di assumere un tono scherzoso, che quel sindaco è stato più tosto del celebre Peppone dei romanzi e dei film tratti dagli scritti di Guareschi. E che non aveva mai trovato sulla sua strada un vero Don Camillo. Di aneddoti in tal senso ce ne sarebbero tanti, anche troppi, da riportare. Ci si è soffermato in certi suoi scritti anche Arturo Viale, mercé le informazioni ricevute da un suo amico anarchico, abitante da pensionato a Perinaldo, un anarchico che il sindaco non riuscì mai a “catechizzare”. Ho dimenticato dettagli singolari appresi da poco da Franco B. circa l'entusiasmo che Croesi dava e riceveva dai giovani, che sempre negli anni '70 e '80 organizzavano sagre ed altre iniziative della Pro Loco. Croesi è stato, inoltre, un cultore delle testimonianze concernenti la storia recente del paese, dalla costruzione della strada carrozzabile al commercio – agli inizi del 1900 – del legname di quei boschi, che aveva come destinazione finale l'imbarco da un pontile ormai scomparso di Vallecrosia: massime per documenti e fotografie conservati dal padre, mediatore in una di quelle imprese. Ancora. Un lontano cugino di Emilio pochi mesi fa inopitamente mi raccontava di altri personaggi famosi che incontrava a cena in casa del suo parente. Le memorie in merito per me più intriganti sono forse quelle degli abitanti di Perinaldo emigrati in Francia, soprattutto in Costa Azzurra, che in lontani mesi di agosto affollavano le Feste dell'Unità sotto quei platani, che per fortuna ci sono ancora. Donne e uomini che tornavano per votare alle elezioni, in particolare alle comunali – così mi si diceva – per sostenere in modo massiccio Emilio Croesi.

Bevera

Qualche anno fa, una volta letto l’articolo molto bello, che riporto qui di seguito, non avevo resistito, visto che sono di quella zona, alla tentazione di dire, su un mio blog che a quel tempo non era solo di fotografie come adesso, la mia. Ed oggi mi appresto a riprodurre sia quei bei pensieri che le mie considerazioni di allora. Ancora un aspetto: la località qui richiamata é, con certi suoi dintorni, Bevera, frazione di Ventimiglia (IM), nell’estremo ponente di Liguria.

Era così, mezzo secolo fa, la campagna intorno a casa, con la linea ferroviaria dismessa, che prima della guerra collegava la riviera con la Val Roja e Cuneo, dove ho vissuto i primi anni della mia infanzia. Era il nostro territorio di gioco, quando non esistevano la televisione, i videogiochi, i monopattini e avevamo a disposizione quei lunghi pomeriggi estivi, assolati cieli alti e striduli dal frinire assordante delle cicale che vegliavano su di noi appollaiate sui rami dei ciliegi. Oltre alle cicale non si sentiva altro, forse ogni tanto il latrato di un cane. Né aerei, né automobili, né motopompe, né motozappe. Il lavoro in campagna si svolgeva a mano e in silenzio. La terra si arava e dissodava col magaglio, l’erba falciata con la “serra” a schiena curva, lavoro da donne, il verderame alle viti veniva irrorato con una pompa di stagno, fissata sulle spalle e azionata dalla mano dell’uomo. Anche la gente allora era più silenziosa. Poche chiacchiere e a bassa voce. Strano come nella mia infanzia non abbia mai udito urlare nessuno. Anche i gesti erano misurati, dalla stanchezza che non concedeva sprechi. Per noi bambini c’era la terra, l’acqua, il cielo, le piante, gli animali selvatici, gli odori e la ferrovia abbandonata, col cancello che chiudeva il passaggio a livello ancora cigolante sui cardini che spingevano con tutta la forza delle nostre braccia per poi saltarci sopra appena presa la rincorsa. Gli odori. Lungo la massicciata cresceva rigogliosa una pianta infestante dal fusto poco più grande di un pollice con le foglie lanceolate, non ricordo il suo nome, ma l’ho sempre visto prosperare sui bordi delle ferrovie. Ne spezzavamo i rami più teneri per costruirci la capanna, il nostro rifugio segreto, imbrattandoci le mani del lattice bianco e appiccicoso che sgorgava dalle ferite della pianta e ci impregnava di un odore forte e nauseante che non ho mai dimenticato. Oggi la ferrovia è stata ripristinata, ma la casa e la campagna non ci sono più. Una ligure

Mi ha colpito il testo in questione, perché nel luogo descritto passavo talora anch’io all’epoca: tutto corrisponde! Aggiungo il fascino per me bambino dei segnali ferroviari (antiquati) abbandonati, le spiegazioni di mio padre su alberi (“L’acacia é pericolosa! Tua bisnonna per la puntura di una spina d’acacia nel piede ha dovuto subire l’amputazione dell’arto!”) e su piante, le discese al fiume per bere in foglie verdi e fresche l’acqua sgorgante da polle litoranee. Qualche anno più tardi si andava da quelle parti a tirare quattro calci al pallone: la zona era ancora perfettamente fascinosa e si andava e tornava rasente il corso del Roia per sentirci in piena natura.

Il bel racconto allegato mi restituisce intatta la meraviglia che quei siti in me suscitavano ancor prima della gentile autrice. Solo non ricordo come facesse mio padre a portare sulla canna di una bicicletta da bersagliere me e mio fratello (sì che eravamo piccolini!) sino a bere dalle allora pulitissime acque del Roia, quelle che sgorgavano, come già accennato, tra le erbe profumate di una riva!

Da Saluzzo a Fontane

Tra le carte di famiglia ho di recente trovato una fotografia di un gruppo di persone davanti al Monumento ai Caduti della Grande Guerra di Cuneo, là in trasferta nel 1931 da Alassio, fotografia inviata da un partecipante con tutta probabilità a mio nonno materno.

Cuneo, per noi della Riviera dei Fiori, si può dire molto vicina, sì da sembrare banale diffondersi su memorie personali.

Rinvengo anche una cartolina, da me spedita all’epoca a qualche mio caro, dunque risalente a metà anni ’70, della vicina Boves. Da Wikipedia: “La città di Boves è tra le istituzioni decorate al valor militare per la guerra di Liberazione insignita il 22 luglio 1963 della medaglia d’oro al valor militare e il 16 gennaio 1961 della medaglia d’oro al merito civile per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale“.

Anche da Boves, non solo da Limone Piemonte, rigorosamente di settembre – prima non avrei potuto fare ferie (ed allora le potevo ancora usufruire non spezzate!) –, sono partito per girovagare per valli, borghi e case isolate, non escluse rapide puntate da amici a Torino. E mi sovviene un certo viaggio in autostop, compiuto ai primi di agosto del 1968, iniziato proprio attraverso località di cui qui sto dicendo!

Uno dei miei primi sconfinamenti nel Cuneese avvenne con una gita scolastica ai tempi delle medie inferiori, quindi, nei primi anni 1960, quando si arrivò sino a Saluzzo per ricalcare qualche orma di Silvio Pellico.

Non vale, certo, il concetto di prossimità per tutte le località della Provincia Granda.

Non ho mai viaggiato molto, per lungo tempo perché bloccato dagli impegni professionali. Oggi mi muovo poco, soprattutto perché miro a soddisfare la mia congenita pigrizia.

Rivedere e ripensare anche ad un passato non lontano geograficamente, come quello rappresentato da località della provincia di Cuneo, mi aiuta a misurare non solo spezzoni di vita, ma anche tanti aspetti di vita sociale e del costume.

Sono tanti ormai, ad esempio, abitanti di quelle zone ad avere casa, in genere seconda casa, su questo lembo occidentale di Liguria. Io stesso sono stato in affitto da persona di Boves, con la quale si finì per diventare amici. E fu emozionante ritrovarsi senza preavviso ad almeno una manifestazione di Partigiani.

Per associazione di idee di Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN), per via di una ricorrenza, effettuata il 21 ottobre 2013, della guerra partigiana di Liberazione, il cui rilievo morale, civile, storico ritengo fuori discussione, ho un ricordo molto intenso, non solo per il valore morale e storico dell’avvenimento, ma anche per il ritrovarmi tra tante care persone. Un appuntamento preparato con cura e dedizione dall’amico Dantilio Bruno, tuttora Presidente della Sezione A.N.P.I. di Ventimiglia (IM), nato in quei pressi, come racconta in alcuni suoi libri (ed almeno la prefazione di uno di questi l'ho pubblicata anch'io).

Anche quelle volte di Cosio d’Arroscia, ancora in provincia di Imperia, ma in prossimità della parte centro-meridionale della Granda e, quindi, di Frabosa Soprana, volte connotate da quei miei qui preannunciati brevi soggiorni, comportarono, più per le visite che spesso ci venivano fatte che per altro, rapide escursioni ad Ormea, Garessio. Mondovì…

Per non dire della linea ferroviaria Ventimiglia-Cuneo, ripristinata nel 1979, di cui alcuni dei ponti distrutti dai nazisti alla fine della guerra vidi già da bambino.

Forse avrei ancora tanti singoli aspetti, legati in qualche modo a quella provincia, da illustrare prima o poi...

Piazza d'Armi

Oggi Piazza d’Armi di Camporosso (IM), Camporosso Mare per la precisione, risulta occupata, a farla breve, da strade, case e da un bel giardino pubblico. Il nome con cui é stata lungamente conosciuta l’area in questione riporta agli anni prima dell’ultima guerra ed alla finitima Vallecrosia, proprio lì affacciata come confine occidentale, Vallecrosia dove erano collocate molte caserme: ma questo é un lato della questione che porterebbe lontano, comunque, alla necessità di approfondimenti. Per circa vent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, invece, quello spiazzo é stato occupato da quello che a lungo (quello di Bordighera sul Capo credo non fosse a caso destinato ai tornei giovanili) fu l’unico campo di calcio regolamentare della zona di confine. Non sono poi in tanti, tra le persone che frequento, a ricordarsi di tutto questo: eppure qualche fotografia gira ancora, soprattutto su Facebook. Tra il detto ed il vissuto – da bambino e da adolescente abitavo abbastanza vicino – emergono tanti ricordi di fatti curiosi, dai quali vado ad estrapolare un episodio che mi é stato raccontato da poco. Alla svolta anni ’60 guardava – in tribuna, mi viene da supporre – una partita in casa della Ventimigliese un signore ormai anziano, alto, robusto e dalla voce tonante, che ben avevo conosciuto per amicizie di famiglia. Gli si avvicinò un autista in livrea che gli disse che il suo titolare, assiso in autovettura, avrebbe desiderato parlargli: al che l’omone rispose che prima avrebbe guardato finire la gara. Fu grande il suo stupore di ritrovare infine ad attenderlo pazientemente l’ufficiale, al quale aveva salvato la vita durante la Grande Guerra, ancor di più nel riscontrare che era ormai un famoso magnate italiano dell’industria. La vicenda proseguì con aspetti qui ininfluenti, credo.

Non ho chiesto al mio interlocutore, genero di quella persona, come fosse stato possibile quell’avvistamento a distanza, ma me lo sono immaginato, come in parte ho ricostruito nella mia stesura, alla quale devo aggiungere il particolare di un muro basso, solo sormontato da un’alta rete per trattenere le pallonate.

E fuori dal football ne ha viste tante altre cose la vecchia Piazza d’Armi, luogo destinato ai circhi – ce n’erano ancora tanti in quegli anni e non arrivavano solo d’estate – e, sotto Natale, ai Luna Park. Tanto é vero che chi come me di tanto in tanto andava in settimana a scorazzare su quel brullo terreno, spesso lasciato incustodito dalla società, ne vedeva le pessime conseguenze. Insomma, da quelle parti tirava aria di pionierismo di ritorno, anche perché la Ventimigliese anteguerra aveva un bel campo negli attuali Giardini Pubblici della città di confine …