L’etnocentrismo critico di Ernesto De Martino
Come tanti altri scrittori e intellettuali della sua generazione, Ernesto De Martino (nato a Napoli nel 1908 e morto a Roma il 9 maggio 1965), aveva aderito da giovane alle iniziative che in campo culturale il fascismo andava proponendo o imponendo per moltiplicare sostegni alla sua azione ‘pedagogica’. Ben presto passato dalle file del GUF (Gioventù universitaria fascista) e dalla redazione de “L’Universale†alla conoscenza delle opere di Benedetto Croce, De Martino maturò con la guerra la sua definitiva vocazione e la sua svolta ideologica. Ne Il mondo magico, pubblicato da Einaudi nel 1948, c’è già tutto il De Martino che si rivelerà nel campo degli studi storico-religiosi ed etno-psicologici. Giunge poi propizia la lettura del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi e dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, quando già il Nostro è diventato un intellettuale militante ed è stato chiamato in Puglia a dirigere la segreteria della federazione socialista, prima del suo passaggio decisivo in casa comunista.
È l’epoca delle lotte contadine, della Riforma agraria, dell’inizio di una straordinaria stagione di indagini (ma De Martino le chiama spedizioni) incentrate sulle plebi del Mezzogiorno. Egli arriva nel Sud più profondo armato di un’équipe formata da medici, psichiatri, psicologi, storici delle religioni, antropologi, etnomusicologi, documentaristi cinematografici e fotografici (i più assidui furono Arturo Zavattini, figlio del famoso Cesare, Franco Pinna e Ando Gilardi). È l’inizio di una ricerca multidisciplinare mirata a studiare direttamente, con interviste, colloqui e registrazioni audio e video, ciò che rappresenta l’Altro, l’Alieno: ne indaga lo spessore antropologico, ne intuisce e ne ricava una ‘lezione’ politica, finisce per definire quella realtà come l’espressione della ‘crisi della presenza’. Tipico, al riguardo, è il racconto dell’episodio del contadino calabrese di Marcellinara, che allontanatosi con un automezzo dal suo paese e non vedendone più il campanile, fu colto da sintomi d’angoscia. La perdita degli antichi spazi geografici si risolveva in crisi della propria integrità .
Negli anni ’50 partì per numerose spedizioni in Puglia, Lucania e Calabria. Famose le sue “Note di campoâ€, le sue annotazioni su ogni più piccola manifestazione di quella cultura arcaica incontrata tra le vie e i bassi di Pisticci, San Fele, Tricarico, Copertino, Nardò, Galatina. Fu così che, sorprendentemente, si rivelò al mondo la diversità di un universo coi suoi riti e i suoi simboli, la persistenza dell’alieno e dell’esotico sul confine di civiltà coesistenti e concorrenti. E fu, insieme, la scoperta di come il potere dello Stato e della Chiesa fosse stato capace di condizionare per secoli una massa di esclusi e di subalterni. Gramsci e Marx e prima di loro, Malinowski e Lévy-Strauss, diedero una mano a Heidegger per aprire il varco ad una comprensione più piena del rapporto che s’instaura tra ricercatore, dotato del privilegio della cultura borghese, e componente di una plebe immersa in una dimensione ancestrale.
Con i suoi grandi libri – Sud e magia, Morte e pianto rituale, La terra del rimorso – De Martino riavvicinò due Italie divise e bisognose di comprendersi, di rispettarsi, di superarsi in un nuovo orizzonte culturale, definito in modo originale come ‘etnocentrismo critico’.
“Questo è da intendersi – scrive Vittorio Lanternari – come sforzo supremo di allargamento della propria coscienza culturale di fronte ad ogni cultura ‘altra’, e come sofferto processo di presa di coscienza critica dei limiti della propria storia culturale, sociale, politicaâ€.
Un umanesimo, in sintesi, che sfocia in un mondo liberato dai suoi preconcetti e però attento a preservare ‘un villaggio vivente nella memoria’, a non dimenticarsi del suo passato, a guardare più fiducioso ad un futuro costruttivo.
di Sergio D’Amaro in Reti Dedalus (http://www.retididedalus.it/)
BOX: L’eredità culturale e scientifica lasciata da Ernesto De Martino (1908-1965) è di capitale importanza per gli studi etnoantropologici. Fondatore della scuola antropologica dell’Università di Cagliari (da cui provengono studiosi del calibro di Alberto M. Cirese, Clara Gallini, Pietro Clemente e Giulio Angioni), De Martino ha pubblicato opere che oggi sono dei veri e propri classici: Morte e pianto rituale nel mondo antico (Einaudi, 1958; n. ed. Bollati Boringhieri, 2000), Sud e magia (Feltrinelli, 1959; n. ed. 2002), La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud (Il Saggiatore, 1961, ristampata continuamente), Furore, simbolo, valore (ivi, 1962; poi Feltrinelli, Milano, 1980 e ivi 2002).