Virgilio Mago e poeta

Storia e leggenda avvolgono la vita di Publio Virgilio Marone a Napoli, il poeta latino che tra sacro e profano fu amato come Virgilio Mago dal popolo e dai notabili, da Posillipo fino al centro della città partenopea. Al Medioevo si fa risalire la credenza popolare di Virgilio stregone buono, più comunemente ritenuto uomo saggio, in grado di proteggere e aiutare la città con talismani, sortilegi e incantesimi avendo ereditato poteri dagli dei, per cui si pensa che nel XII secolo a Napoli fossero ancora vive credenze pagane. Egli frequentò a Napoli la scuola di Sirone, aderì poi al neopitagorismo, studiò quindi la natura e si avvicinò al culto di Cerere e Proserpina. Pare che poi fosse riuscito ad appropriarsi di un libro di negromanzia dalla tomba del filosofo Chironte , in una città sotterranea all’interno del monte Barbaro situata tra Baia e il lago d’Averno, addentrandosi nei misteri di vita e morte, riuscendo ad apprendere le scienze occulte, i rituali magici per effettuare guarigioni ed esorcizzare gli spiriti malvagi, difendere la città e provvedere ai suoi bisogni . Addirittura fece i primi esperimenti di magia a Roma per cui fu imprigionato per ordine dell’imperatore Augusto, ma con i compagni di ventura magicamente volò via su una barca che aveva disegnato sul muro esterno della prigione, giungendo in Puglia e proseguendo poi per Napoli. Da allora divenne un personaggio leggendario, caro all’ immaginario popolare che lo rese quasi immortale perché di fatto il ritrovamento o la traslazione dei suoi resti sono ancora incerti.

La storia di Virgilio Mago per certi aspetti s’ incrocia con il mito della sirena Parthenope, entrambi protagonisti delle “Leggende napoletane” di Matilde Serao. Napoli, o meglio, l’antica Neapolis fu voluta da Parthenope e nacque proprio dal suo amore per Cimone. Il corpo esanime della sirena si arenò a Megaride, una piccola isola a sé fino al IX sec. a. C. che poi fu collegata alla terraferma e divenne sede del Castel dell’ Ovo durante la dominazione normanna del XII secolo. Nei sotterranei del castello ci sono i ruderi della sfarzosa villa del patrizio romano Lucullo (Castrum Lucullarum) , ove soggiornò Virgilio dal 45 al 29 a.C. che in quella quieta bellezza trovò l’ispirazione per scrivere le Bucoliche e quattro libri delle Georgiche e sperimentare le sue arti magiche. “Dopo la poesia di Parthenope, semidia, creatrice, sorge la poesia di Virgilio, creatore, semidio. Noi conosciamo Virgilio, il grande maestro di Dante, ma conosciamo poco di Virgilio Mago….Noi siamo ingrati verso colui che esclama: Illo Virgilium me tempore dulcis alebat Parthenope…Egli era giovane, bello, alto della persona, eretto nel busto, ma camminava con la testa curva e mormorando certe sue frasi, in un linguaggio strano che niuno poteva comprendere. Egli abitava sulla sponda del mare dove s’incurva il colle di Posillipo, ma errava ogni giorno nelle campagne che menano a Baia ed a Cuma ; egli errava per le colline che circondano Parthenope, fissando, nella notte, le lucide stelle e parlando loro il suo singolare linguaggio; egli errava sulle sponde del mare, per la via Platamonia, tendendo l’orecchio all’armonia delle onde, quasi che elle dicessero a lui solo parole misteriose. Onde fu detto Mago e molti furono i miracoli della sua magia”.

Probabilmente egli entrò in contatto con gli eremiti e i monaci alchimisti, che vivevano a Megaride, e tra scienza e leggenda a lui si riconduce la storia medioevale dell’uovo che, deposto in una caraffa di vetro racchiusa a sua volta in una gabbietta, fu murato nelle fondamenta del castello che appunto prese il nome di “ castello dell’ Ovo” e dal quale dipendevano le sorti dell’isola e dell’intera città, che sarebbero andate in rovina se si fosse rotto. L’uovo era un simbolo noto agli alchimisti, ai filosofi, e soprattutto agli studiosi di esoterismo in quanto comprensivo di due forme perfette cioè del triangolo che rappresenta il divino e la vita, e del cerchio che la protegge. L’uovo cosmico crea, dà origine alla vita e non a caso ricorre anche nel mito di Parthenope e nella nascita di Pulcinella. Quando nel 1370 una violenta tormenta inondò le prigioni del castello ove era rinchiuso il condottiero Ambrogio Visconti che in quell’ occasione pensò di evadere rompendo la caraffa dell’uovo durante la sua precipitosa fuga nei sotterranei, franò proprio l’ala del castello ove era nascosto l’uovo e i generali timori dei napoletani si placarono solo quando la regina Giovanna ne fece ricollocare un altro onde evitare nuove sciagure alla città. Tanti altri furono i prodigi e le magie di Virgilio: la mosca d’oro , cui insufflò la vita per distruggere quelle che invasero la città, la guarigione dei cavalli di Augusto da un morbo sconosciuto, la scoperta di un’acqua miracolosa, la pietra magica che rese pescoso il mare di Napoli, la sanguisuga d’oro per bonificare i pozzi malsani, il cambio di direzione di un vento troppo caldo, l’invenzione di un alfabeto magico, la coltivazione di un giardino di piante medicinali ai piedi di Montevergine e sulla collina di Posillipo, l’uccisione del serpente che aveva divorato tanti bambini del Pendino, la costruzione dei bagni termali a Baia e della lunga galleria della Crypta Neapolitana, opera di leggendari demoni notturni che collegava Neapolis con i porti flegrei e divenne sede di rituali orgiastici.

Virgilio morì a Brindisi il 19 a. C e da sempre si crede che le sue spoglie siano nel colombario di età romana del parco Vergiliano, vicino alla Crypta neapolitana. Forse più probabilmente l’imperatore Augusto, protettore del poeta, gli fece erigere un monumento presso la villa di Vedio Pollione che poi fu distrutto dal mare. Per altre fonti i resti del poeta andarono persi nel Medioevo, secondo altre il re Roberto d’Angiò nel 1326 li fece traslare o murare nel castel dell’Ovo. Per il grammatico Elio Donato la tomba si trovava lungo la via Puteolana, che portava a Pozzuoli, a due miglia dalla città, per lo storico Julius Beloch invece sarebbe nel tempio dedicato al poeta nel boschetto della villa nella Riviera di Chiaia, per altri ancora le due miglia porterebbero verso il Vesuvio, esattamente a san Giovanni a Teduccio. Il culto di Virgilio nel mausoleo del Parco Vergiliano nell’area archeologica di Piedigrotta risale al Trecento. Visitata da personaggi illustri, letterati e potenti signori di ogni epoca storica, citata da Alessandro Dumas , che nel 1835 era a Napoli e dal suo albergo vedeva il sepolcro, e dal marchese De Sade che la visitò nel 1776, di fronte all’entrata pare ci fosse una lapide, posta dai padri lateranensi della vicina badia di Santa Maria di Piedi grotta nel 1554, con l’iscrizione che fuga ogni perplessità : “QUAE CINERIS TUMULO HOC VESTIGIA CONDITUR. OLIM ILLE HOC QUI.CECINIT PASCUA RURA DUCES… (Quali ceneri? Queste sono le vestigia del tumulo. Fu sepolto qui colui che cantò i pascoli, i campi, i condottieri”) e ne seguì un’altra “Che importa che il tumulo è crollato, che l’urna è rotta? Il nome stesso del poeta basterà a fare celebrare il luogo”. All’ interno del tempietto una stele di marmo posta da Eischoff, il bibliotecario della regina di Francia, recita l’epitaffio che Virgilio scrisse prima di morire perché fosse inciso sulla sua tomba:

“MANTUA ME GENUIT, CALABRI RAPUERE, TENET NUNC PARTHENOPE: CECINI PASCUA RURA DUCES (Mantova mi generò, la Calabria mi rapì, ora mi tiene Napoli: cantai i pascoli, le campagne gli eroi).

In effetti questo antico colombario romano è per tutti la tomba del poeta Virgilio, anche se si dubita della presenza delle sue ceneri; dubbio mai realmente accertato né fugato. Il mausoleo fu visitato dai grandi della letteratura quali Dante, Petrarca, Boccaccio e infine da Leopardi, ignaro che avrebbe riposato vicino a Virgilio.

Dapprima affascinato dalla bellezza mozzafiato dei luoghi e del mare, Leopardi divenne insofferente di quella città che suscitava contrastanti emozioni con le sue innumerevoli contraddizioni, da amare nella sua vitalità, da odiare nelle sue insidie e nell’ invadente e fastidiosa confusione. Nel 1934 fu eretto un imponente monumento al poeta di Recanati proprio nel parco di Piedigrotta, vicino alla galleria di Fuorigrotta e alla stazione di Mergellina, in un angolo nascosto e immerso nel verde che rivedo ancora in un’atmosfera quasi surreale di una calda e silenziosa mattina di agosto provando nuovamente una sorta di muto timore, rispetto reverenziale per quei due grandi della poesia, commossa soggezione di fronte ai loro mausolei e nel ricordo di alcuni versi, patrimonio universale e immortale. Che importa che il tumulo è crollato, che l’urna è rotta?

“Non vi è che un solo Virgilio: quello che la favolosa cronaca delinea nelle ombre della magia, è proprio il poeta. Invero egli non ha avuto che una magia sola: la grandiosa poesia del suo spirito. Nella cronaca è il poeta….È il poeta che cerca ed interroga ogni angolo oscuro della natura, è lui che parla alle stelle tremolanti di raggi nelle notti estive, è lui che ascolta il ritmo del mare, quasi fosse il metro per cui il suo verso scandisce… Virgilio mago è Virgilio poeta. E nulla si sa della sua morte. Come Parthenope, la donna, egli scompare. Il poeta non muore.” Del resto anche “ Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, ella erra sulla spiaggia, ella si affaccia al vulcano, ella si smarrisce nelle vallate. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei che rende irresistibile il profumo dell’arancio; è lei che fa fosforeggiare il mare… È lei che fa impazzire la città: è lei che la fa languire ed impallidire di amore: è lei la fa contorcere di passione nelle giornate violente dell’agosto. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non ha tomba, è immortale, è l’amore. Napoli è la città dell’amore.” (da “Leggende napoletane” di Matilde Serao)

Una città dall’ apparenza ora oziosa e solenne, ora sfacciata e volgare, da scoprire con diverse e contrastanti letture delle sue storie appassionate, vere e mitiche, dolci e tormentate, ironiche e drammatiche, vissute e interpretate, custodite nella memoria di altre generazioni, dimenticate da quelle più recenti. Storie sull’ origine e sulla fine, esorcizzate dalle credenze popolari, da una devozione superstiziosa, da rituali tramandati pigramente, come alibi poco convincenti ai quali poi si finisce col credere quasi per inerzia. Storie troppo straordinarie per essere credibili, unicamente napoletane.

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